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Formazione unitaria – Oltre i confini pastorali

Domenica 23/03/2025 ore 15:30 - 20:00 Chiesa di San Gerardo Rionero

Un ministero tutto relazionale

 

La visione di Chiesa che, dal concilio a oggi, costituisce l’orizzonte ultimo entro cui si vanno maturando consapevolezze e orientamenti in ordine alle dinamiche proprie della sinodalità, permette di cogliere e interpretare la collocazione e la funzione dei ministri ordinati anzitutto nel e per il popolo di Dio.
È proprio la missione messianica di tale soggetto collettivo a costituire il contesto e la ragione teologica a partire dai quali poter individuare il novum che l’ultima assise conciliare ha riconosciuto come specificità del ministero ordinato. Si tratta di un’unica missione che coinvolge tutti i battezzati e che si realizza per vie molteplici, tante quante sono le forme di vita e di ministeri presenti e operanti nella Chiesa. In un orizzonte del genere, caratterizzato da una ministerialità diffusa e plurale, il ministero della guida non può configurarsi solo come l’esercizio di un potere da esercitare su alcuni sudditi, coinvolti esclusivamente nell’esecuzione di una scelta operata da altri, ma piuttosto deve mostrarsi come l’esercizio di una funzione necessaria e specifica nel e per una missione, realizzata insieme ad altri, che sono protagonisti corresponsabili nella costituzione del soggetto collettivo. In tal senso non è possibile immaginare una figura di ministero ordinato interpretabile in senso assoluto, ossia svincolato da quelle relazioni che fanno emergere la specificità del suo servizio ecclesiale. Nella circolarità di tali relazioni vanno considerate anzitutto quelle dei presbiteri con il vescovo. Quest’ultimo – come afferma il Vaticano I nel terzo capitolo di LG – governa una Chiesa particolare esercitando una potestà, in nome di Cristo, per edificare la comunità, al contempo preservandone l’unità e curando il coinvolgimento attivo di tutti. La sua funzione di leadership non lo colloca in una posizione isolata e frontale rispetto all’intero corpo ecclesiale; posizionato all’interno dello stesso, invece, il suo ministero coinvolge tutti in una dinamica di corresponsabilità, nella promozione della pluralità dei carismi e dei percorsi di vita credente di ciascuno. In modo particolare quello con i presbiteri, suoi primi collaboratori riconosciuti «quali figli e amici» (LG 28), è un rapporto contraddistinto da familiarità e confidenza, presupposti essenziali per esercitare le funzioni di guida in un accordo comune e tenendo fede al bene di tutta intera la Chiesa particolare. Non è un caso che il Vaticano II, a tal proposito, abbia riscoperto il valore del presbiterio per sottolineare la natura comunionale del ministero dei preti, indicando nella via della fraternità sacramentale una forma non autarchica e isolata per l’esercizio dell’autorità e del potere, ma con il vescovo e il collegio dei presbiteri appunto.
Un’acquisizione del genere non può essere data per scontata, soprattutto per le conseguenze da essa derivanti in ordine alla messa in opera di processi e dinamiche ecclesiali che abbiano realmente un respiro sinodale. Nella vita ecclesiale lo stile di un lavoro condotto insieme non è anzitutto il frutto di criteri di efficienza o di razionalizzazione, ma proviene da una corretta interpretazione della cura animarum.
È per il servizio al bene dei fedeli che il lavoro insieme trova la propria giustificazione. Tra l’altro uno stile del genere protegge dalla tentazione di appropriarsi del proprio ministero e del potere che vi è legato. Di non minore importanza è la considerazione che si deve prestare alle relazioni tra ministri ordinati e laici. Questi ultimi partecipano all’unica missione ecclesiale interpretando la specificità della propria identità e condividendo, per la loro parte, l’esercizio della leadership attraverso tutto quello che può contribuire al bene della Chiesa, all’edificazione della comunità e della sua missione. Questa rete di relazioni si alimenta attraverso i contributi specifici che i laici, in modo particolare, possono offrire a favore di percorsi di sinodalità ecclesiale nonché mediante un riconoscimento e una adeguata promozione della dignità e della responsabilità degli stessi nella Chiesa da parte dei ministri. Anche tale ambito relazionale, pur affermato ormai dai tempi del concilio, non pare ancora recepito del tutto nelle consapevolezze ecclesiali e nei processi sinodali, sia per via di forme di esercizio del ministero della guida ancora troppo ingombranti e sia anche per velate e, per certi versi, volute espressioni di assoggettamento all’autorità e al potere dei ministri da parte di laici, abituati piuttosto a una logica di delega. Anche per queste ragioni il tema della leadership è oggi quanto mai decisivo; è necessario conoscerne le potenzialità anche per individuare le vie migliori che rendano praticabile l’autorità e le forme di potere possibili nel Noi ecclesiale.

(Fonte: V. Mignozzi, Tra voi non è così: quale leadership per una chiesa sinodale?, in Centro di Orientamento Pastorale, Redazione web – 28 gennaio 2023)

Il Vescovo Fanelli sulla tragica morte di un giovane detenuto nella Casa Circondariale di Melfi

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI – RAPOLLA – VENOSA

 

COMUNICATO

Il Vescovo Fanelli sulla tragica morte di un giovane detenuto nella Casa Circondariale di Melfi.

“Una sconfitta per tutti, necessità di un vero cambiamento”

 

Con profonda tristezza e dolore, la Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa ha appreso della morte per suicidio di un giovane detenuto tunisino di 25 anni da pochi giorni assegnato presso la Casa Circondariale di Melfi.

Una tragedia che colpisce l’intera comunità e che interpella le nostre coscienze sulla condizione anche psicologica dei detenuti.

La perdita di una vita umana è sempre un dramma che come cristiani e cittadini non può lasciarci indifferenti.

Pur non essendoci nel penitenziario di Melfi sovraffollamento di detenuti, la morte di questo giovane tunisino apre la riflessione sul sistema carcerario.

Ancora una volta, in molti istituti penitenziari, oggi si evidenziano la fragilità e la sofferenza di chi si trova a vivere in situazioni di estrema solitudine, che possono spingere alla disperazione e a gesti irreparabili.

Ogni suicidio rappresenta una sconfitta per la società, chiamata a garantire la cura e la solidarietà, condizioni indispensabili per offrire ad ogni detenuto nel rispetto della giustizia, la dignità e la speranza di riscatto.

Questo drammatico episodio riporta al centro del dibattito la grave condizione delle carceri italiane, segnate dal sovraffollamento e dalla carenza di risorse umane e strutturali adeguate.

È necessario un impegno concreto da parte di tutti, affinché le carceri non siano solo luoghi di giusta espiazione, ma ambienti in cui sia possibile avviare un cammino di cambiamento e riscatto.

Esprimo, pertanto, la mia vicinanza alla famiglia del giovane scomparso, ai detenuti, ai dirigenti e al personale della Casa Circondariale di Melfi ea tutti coloro che ogni giorno combattono per rendere il sistema penitenziario più umano e giusto.

Come comunità cristiana, siamo chiamati a non voltare lo sguardo dinanzi a queste tragedie, ma a farci promotori di un vero cambiamento.

Melfi, 16 marzo 2025

+Ciro Fanelli
Vescovo

Card. Zuppi: vicini al Papa

Investire nel cantiere dell’Europa

Pubblichiamo l’Introduzione del Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, alla sessione primaverile dei lavori del Consiglio Episcopale Permanente (Roma, 10-12 marzo 2025).

Cari Confratelli,

all’inizio di questa sessione del Consiglio Episcopale Permanente il nostro primo pensiero va a Papa Francesco. Durante l’Adorazione Eucaristica, che, come di consueto, apre i nostri lavori, abbiamo voluto unirci alle richieste che in questi giorni le Chiese in Italia e quelle sparse nel mondo hanno rivolto al Signore per il Pontefice. Una vera e propria catena di preghiera che è partita il 23 febbraio scorso e che continua a livello locale e universale.
L’affetto della Chiesa intera si è concretizzato infatti nella preghiera spontanea, che si leva dai credenti di tutto il mondo, e dal Rosario serale da Piazza San Pietro, che è diventato ormai un appuntamento popolare di fede e di attaccamento al Santo Padre. Qualcuno, ricordando la commovente e drammatica preghiera del 27 marzo 2020, quando da solo Papa Francesco pregò per il mondo intero, mi ha scritto che adesso è il mondo intero che si unisce nella preghiera per lui. In questa condizione di fragilità la sua figura diventa ancor di più motivo di comunione. «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10). Lo ha confidato lui stesso: «Avverto nel cuore la “benedizione” che si nasconde dentro la fragilità, perché proprio in questi momenti impariamo ancora di più a confidare nel Signore; allo stesso tempo, ringrazio Dio perché mi dà l’opportunità di condividere nel corpo e nello spirito la condizione di tanti ammalati e sofferenti» (Angelus, 2 marzo 2025). Nella partecipe trepidazione per la sua malattia, emerge la testimonianza di amore a Cristo (cfr. Gv 21, 17-19) che passa dall’esercizio del suo ministero nel confermare i fratelli nella fede e nel presiedere la Chiesa nella carità. Il popolo cristiano lo ama e siamo colpiti dal fatto che pure non credenti e fedeli di altre religioni si uniscano all’invocazione per la sua salute, considerandolo un apostolo di pace e di spiritualità. Anche noi oggi, quindi, vogliamo far arrivare al Papa l’attaccamento e la preghiera dell’intera Chiesa in Italia, perché senta forte la nostra vicinanza filiale insieme con la consolazione del Padre buono, che sempre si prende cura dei suoi figli, soprattutto nei momenti più difficili della vita. Del resto, come egli stesso ha scritto ringraziando medici e operatori sanitari che lo hanno in cura, «abbiamo bisogno di questo, del “miracolo della tenerezza”, che accompagna chi è nella prova portando un po’ di luce nella notte del dolore» (Angelus, 9 marzo 2025).
Il tempo di Quaresima che stiamo vivendo favorisce un esame di coscienza e un rinnovato impegno a favore del Vangelo nella concretezza delle nostre Chiese. A questo scopo, quello cioè di accostare la riflessione con proposte possibili, vorrei mettere in evidenza quattro temi: Giubileo, Cammino sinodale, pace ed Europa.

Il Giubileo, esperienza di conversione
Siamo ormai nel vivo dell’Anno Santo. Tante persone stanno profittando di questo tempo favorevole per confrontarsi nuovamente con la buona novella del Signore Gesù, morto e risorto, e per vivere l’esperienza del perdono e della conversione: è questa l’ennesima possibilità per accostarsi al Signore con gesti concreti, a cominciare dal pellegrinaggio, e per crescere in fede, speranza e carità.
Perché questa opportunità non si riduca a una successione di celebrazioni esteriori, non possiamo dimenticare che il Giubileo, nella sua radice biblica, aveva una chiara connotazione spirituale e sociale. La normativa del capitolo 25 del libro del Levitico aveva come obiettivo di porre un argine all’avidità e alla grettezza del cuore. Nessun debito è per sempre: ma soprattutto nessuno deve restare schiavo per tutta la vita (cfr. vv. 25-28). Riconoscersi fratelli significa consentire a chi è in difficoltà economica o sociale di tornare ad avere la dignità che è propria di ogni persona. La stessa logica si applica alla terra: non la si può sfruttare in modo intensivo, senza consentirle di riprendere le energie necessarie a dare frutto a suo tempo. La terra non è nostra: è di Dio e va trasmessa al meglio alle generazioni future.
Nelle parole di Gesù presso la sinagoga di Nazareth, «l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,19) si rende presente. La cura dei poveri, la liberazione dei prigionieri, la vista a chi vaga nelle tenebre dell’errore e della sofferenza diventano la ragione della missione di Gesù: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). I discepoli ereditano questa missione del Maestro.
Tali linee sarebbero già sufficienti per tracciare un programma pastorale delle nostre Chiese, in cui il Giubileo spinge a mettere al centro la memoria grata dei doni di Dio e il rispetto della persona umana e del creato, dei fratelli, soprattutto i più fragili. A ciascuno di noi Pastori è dato lo spazio di inventiva per dare vita a gesti concreti, che incarnino questo spirito giubilare. Sarebbe un programma attraente per tanti, che ci vedrebbe peraltro in dialogo con le persone di buona volontà che non vogliono cedere alla logica della sopraffazione e dello sfruttamento delle persone e della terra. I segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza.
Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo ne indica alcuni, tutti decisivi. Ricordiamo, in particolare, quello dei detenuti, che «privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto» (Spes non confundit, 10). Rinnoviamo la sua richiesta di iniziative che restituiscano speranza, come forme di amnistia o di condono della pena, volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società, ma anche percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un reale impegno nell’osservanza delle leggi. È una sollecitazione che coinvolge, in primo luogo, le nostre comunità cristiane chiamate a una rinnovata creatività e generosità per quanti sono pellegrini di speranza con noi.

Verso la Seconda Assemblea Sinodale
Chi ha avuto la possibilità di partecipare alla Prima Assemblea Sinodale (15-17 novembre 2024) ha vissuto un’esperienza di Chiesa e di comunione. Il mio ringraziamento va a chi, a cominciare da S.E. Mons. Erio Castellucci e Mons. Valentino Bulgarelli, dalla Presidenza del Comitato del Cammino sinodale, dall’Ufficio giuridico della CEI fino ai referenti diocesani, stanno lavorando in sinergia sui tanti aspetti di merito e di metodo. Si tratta di un lavoro corale, che è già in sé un esercizio sinodale. Nonostante le inevitabili fatiche, il cammino di questi anni ci sta insegnando anzitutto un metodo ecclesiale, fatto di condivisione, partecipazione, pazienza e visione profetica. In un mondo che cerca facili e rapide soluzioni e che tende a delegare ad un singolo le scelte che ricadono su tutti, in un mondo che ha come registro l’ignorante e rozza polarizzazione, l’esibizione della forza come metodo per risolvere i problemi, la tentazione di scalare le classifiche per salvarsi quando sappiamo che questo avviene solo tutti insieme, il Cammino sinodale sta raccontando una possibilità diversa: quella di leggere e capire la realtà e di decidere insieme, nelle varie ma complementari responsabilità, ciò che è meglio per il futuro di tutti e che è chiesto a tutti.
In queste settimane le Diocesi si sono confrontate con lo Strumento di lavoro: le sintesi pervenute hanno mostrato l’impegno profuso e hanno offerto un riscontro utile per i prossimi passi. Di certo, constatiamo una forte aspettativa: non possiamo deluderla. Guardiamo adesso alla Seconda Assemblea Sinodale (31 marzo-3 aprile 2025), che discuterà tra l’altro le Proposizioni che sintetizzano le scelte per un rinnovamento della Chiesa. Da qui scaturirà il Documento finale, che sarà presentato all’Assemblea Generale di maggio (26-29 maggio 2025). Nel suo complesso, questa resta una sfida anzitutto per noi Vescovi: siamo chiamati ad una responsabilità storica, che consiste nell’accogliere quanto è emerso in questi anni e nel concretizzarlo in scelte pastorali incisive. Comunione e missione!
Nessuno si illude che un documento possa da solo imprimere una svolta alla vita delle nostre Chiese. Non sono gli eventi celebrativi o i testi in sé ad incidere: sono le persone con le loro motivazioni, le loro visioni e le loro scelte ed è la passione verso quei campi che già biondeggiano e che continuano a suscitare la compassione e la speranza di Cristo. La dimensione missionaria della Chiesa di domani, che sta emergendo sempre più chiara dal Cammino sinodale, ci invita a vivere queste settimane e i mesi a venire come un tempo di scelte coraggiose quanto necessarie per le nostre comunità, sempre tenendo presente tutta la città degli uomini.

La pace ha bisogno di dialogo
Il mondo si trova immerso nella tragedia della guerra. «È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti» (Spes non confundit, 8).
Mentre va scomparendo la generazione che ha vissuto l’ultima Guerra Mondiale con il suo carico di odio e di dolore, rischiamo di perdere una memoria sana di quegli eventi e delle loro vere cause. La logica del più forte sembra prevalere e quasi diventa affascinante e accettata in modo acritico. La Chiesa, invece, resta fedele a quanto la tradizione di secoli ha insegnato e il Vaticano II ha ribadito: «Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro come fratelli» (Gaudium et spes, 24). È il tema dell’Enciclica Fratelli tutti. Questo non sembra il tempo in cui si condivide la coscienza di essere un’unica famiglia e, purtroppo, non ci si tratta da fratelli. Anzi ci si tratta da nemici e ci si esercita nell’arte della guerra più che in quella del dialogo. Il sogno, che nasce dal Vangelo di Gesù, è che i popoli e le persone formino un’unica famiglia e che si trattino da familiari.
Siamo in un momento internazionale delicato. Trepidiamo per la situazione in Medio Oriente e temiamo per la fragile tregua su Gaza. Bisogna che tutti rispettino gli accordi. Ci viene da Papa Francesco un grande insegnamento: non dimenticare il dolore. Ci sono guerre all’interno di un popolo, come in Sudan, nel nord del Congo e, nelle ultime ore, in Siria, paesi – tra l’altro – in cui l’impegno ecclesiale italiano è importante. Seguiamo con trepida attenzione quanto avviene in Ucraina, sottoposta a bombardamenti e attacchi sistematici. Ogni giorno le sirene rompono le notti che vorremmo tranquille per tutti, specie per i bambini e i malati, tra cui tanti feriti e mutilati. Guardiamo con attenzione e speranza al possibile dialogo tra Ucraina e Russia, mentre auspichiamo che questo possa segnare una nuova stagione per tutti quei Paesi – tra cui Stati Uniti, Europa e Cina – che, a vario titolo, sono coinvolti nella ricerca della pace. Finalmente si muovono passi per la pace! Questa ha bisogno di dialogo, come ha sempre chiesto Papa Francesco con commovente insistenza. Troppo si è disprezzato il dialogo tra governi, mentre le sedi internazionali d’incontro sono state svuotate di significato e prestigio, a partire dall’ONU. La parola è decisiva. Il linguaggio, quello internazionale e quello della comunicazione, è divenuto molto duro, aggressivo, mirando a colpire o screditare più che a creare le basi del dialogo. Parole come armi e parole senza o con poca verità. È molto importante, a proposito, il discorso del Papa ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno. «Laddove – ha affermato tra l’altro – viene a mancare il legame fra realtà, verità e conoscenza, l’umanità non è più in grado di parlarsi e di comprendersi, poiché vengono a mancare le fondamenta di un linguaggio comune, ancorato alla realtà delle cose e dunque universalmente comprensibile. […] Il racconto biblico della Torre di Babele mostra che cosa succede quando ciascuno parla solo con “la sua” lingua» (Discorso, 9 gennaio 2025). Qui le radici della crisi della diplomazia e del dialogo, necessario per fare pace: vincere la babelizzazione dei linguaggi, frutto dell’egocentrismo nazionale, personale e di gruppo. Ho sperimentato con gioia come un cristiano, che parla un linguaggio sincero, ascolta e cerca di capire l’altro, può aprire una strada laddove si pensava di trovare un muro. Lo si sperimenta anche nella vita di ogni giorno, di fronte a situazioni presentate come difficili o irrisolvibili. Talvolta siamo pessimisti, ma il cristiano ha in sé, nelle sue parole e gesti, una potenziale grande capacità di pace e di bene.

Promuovere una cultura di pace
Sono convinto, che in questo mondo globale o post-globale, quanto avviene negli scenari del mondo è connesso agli scenari quotidiani e ha una ricaduta su di essi. La globalizzazione, attraverso mille modi, forma e deforma. I messaggi di violenza, le immagini di guerra, l’esaltazione della forza o del vincente, il disprezzo per il debole hanno effetti sulla mentalità e i comportamenti. Talvolta i giovani, deprivati di modelli e maestri, sono recettori indifesi di questo modo di vivere.
Le Chiese, che nascono e crescono nell’ascolto, anche nell’umiltà della vita delle nostre comunità, sono generatrici di donne e uomini di pace, perché gente che vive di ascolto della Parola di Dio e che pratica il dialogo. La Quaresima, che ci richiama alla conversione, mostra che si può essere migliori e che nessuna malattia dello spirito è inguaribile. La Chiesa, tra la preghiera, la vita comunitaria e la solidarietà, forma donne e uomini, vere risorse per la società, segnata da solitudine, competizione, conflittualità. La predicazione, l’educazione, la cura delle persone, non sono una goccia perduta nel mare, ma formano uomini e donne di pace, «come un albero piantato lungo un corso d’acqua […] nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti» (Ger 17,8). La Chiesa non lavora per sé. Formare cristiani spirituali e responsabili non è compito confessionale, ma è nostro dovere e soprattutto servizio al mondo, anche a chi non crede o professa altre religioni.
Bisogna avere consapevolezza che diverse iniziative sono in corso e tante personalità e figure carismatiche crescono o possono crescere nei nostri ambienti e si abbeverano in tanti modi alle fonti della fede. Ricordo ciò che disse il card. Ratzinger, a Subiaco, alla viglia della morte di Giovanni Paolo II, grande costruttore dell’Europa: «Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo… Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio imparando da lì la vera umanità. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» (conferenza tenuta il 1° aprile 2005).
Dobbiamo essere grati a tanti sacerdoti, consacrati e consacrate, educatori, catechisti, laici e laiche impegnati, che si dedicano silenziosamente e tenacemente alla crescita e all’animazione dei cristiani, ponendo le premesse di un’umanità migliore. Li ringraziamo per il servizio non protagonista, che forma persone generose e responsabili. Essere padri e madri non è mai protagonismo ma generatività. Gaudium et spes, di cui celebriamo nel 2025 i sessant’anni, vedeva lontano perché chi è illuminato dal Vangelo alza gli occhi, scruta e capisce il presente libero da compulsività e interessi immediati. Si esprimeva così: «È in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi» (Gaudium et spes, 15). La nostra risposta non è ideologia, ma uomini e donne viventi che credono e amano. È anche la risposta di fronte alle nuove tecnologie e alla questione dell’Intelligenza artificiale: «L’epoca nostra – continua il testo conciliare -, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza per umanizzare tutte le sue nuove scoperte» (Gaudium et spes, 15). Bisogna suscitare uomini saggi, portatori di una cultura piena di umanità capace di resistere a una cultura aggressiva, competitiva, egocentrica, “predicata” in modo martellante dalla macchina della propaganda.
Il beato Giuseppe Girotti, morto martire a Dachau nel 1945, biblista di vaglio, amico dei poveri, arrestato perché nascondeva gli ebrei, così predicava nel lager nazista prima di morire: «La Chiesa fu, è e sempre sarà l’unico rifugio del senso di umanità, di amore e di misericordia; rifugio della verità, dei principi della retta ragione, della civiltà e della cultura». Questa è la Chiesa, risorsa e speranza dell’umanità! Essere cristiani, con la propria vita, sostiene e protegge l’umanità a tutti i livelli: dalla famiglia, alla vita, alla politica e alla società, al mondo del lavoro, alla vita internazionale.

Investire nel cantiere dell’Europa
Questo popolo non solo prega per la pace e la chiede con forza, ma anche pensa al post-guerra: se vuoi la pace, prepara la pace! È questo il vero investimento di cui oggi abbiamo bisogno. Nel 2023 nel monastero di Camaldoli, celebrando il Codice (che tanto contribuì alla rinascita democratica) dicevo (scuserete l’autocitazione): «Pio XII chiese ai cattolici di uscire dalla loro passività e di prendere l’iniziativa. La responsabilità è iniziativa, altrimenti ci si accontenta delle proprie ragioni o dei buoni sentimenti, questi diventano vano compiacimento e non umiliandosi con la vita concreta fanno illudere di essere dalla parte giusta anche se si finisce fuori dalla storia!» (Prolusione, 21 luglio 2023).
È molto diversa oggi la situazione dei cattolici da quella del 1943, ma c’è la tentazione di accontentarsi delle proprie buone ragioni e dei propri buoni sentimenti, magari limitandosi a rimettere in ordine la “casa” con qualche sistemazione strutturale o accorpamento. Direi con i neologismi di Francesco: è l’ora di primerear e non di balconear.  C’è un’iniziativa da prendere: «In questa prospettiva, sarebbe importante – sottolineavo – una Camaldoli europea, con partecipanti da tutt’Europa, per parlare di democrazia ed Europa. I padri fondatori hanno avuto coraggio, rompendo con le consolidate logiche nazionalistiche e creando una realtà mai vista né in Europa né altrove» (Prolusione, 21 luglio 2023).
Abbiamo visto entusiasmo a Trieste, alla Settimana Sociale, nel prendere l’iniziativa nel senso della pace, dell’Europa, della democrazia. Mi pare che, nei nostri ambienti, specie tra i giovani, ci sia voglia di dare un contributo in linea con il Vangelo, la nostra storia, il pensiero sociale della Chiesa. È il momento!
Ottant’anni fa, il 9 maggio 1945, finiva la Seconda Guerra mondiale sul suolo europeo. Data da ricordare e che fa pensare. Anche perché il fantasma di una nuova guerra mondiale si è aggirato negli ultimi anni e il Papa l’ha denunciato. Quella guerra è stata il frutto della follia nazionalista della Germania nazista e dell’Italia fascista. Oggi il male del nazionalismo veste nuovi panni, soffia in tante regioni, detta politiche, esalta parte dei popoli, indica nemici. Il suo demone non è amore per la patria, ma chiusura miope ed egoistica, che finisce per intossicare chi se ne rende protagonista e le relazioni con gli altri. Mons. Roncalli, nel 1940, a Istanbul, meditava sugli scenari del mondo segnati dalla Guerra mondiale nel Giornale dell’Anima: «Il mondo è intossicato di nazionalismo malsano, sulla base di razza e di sangue, in contraddizione al Vangelo». Soprattutto su questo punto, che è di bruciante attualità, «libera me de sanguinibus, Deus». E qui torna bene l’invocazione: «Deus salutis meae»: il Salvatore Gesù, che morì per tutte le nazioni, senza distinzione di razza e di sangue, divenuto primo dei fratelli della nuova famiglia umana, costituita sopra di lui e sopra il suo Vangelo.
Il nazionalismo è in contraddizione con il Vangelo. Per questo i Padri fondatori dell’Europa presero l’iniziativa dell’unificazione europea. L’Europa è una terra arata dal cristianesimo. Non rivendichiamo un’Europa confessionale, ma da credenti siamo a casa nostra nel processo europeo e vogliamo dare il nostro peculiare contributo sull’esempio dei Santi Cirillo e Metodio per un’Europa che può respirare bene solo con i due polmoni. Dobbiamo investire nel cantiere dell’Europa, che non sia un insieme di Istituzioni lontane, ma sia figlia di una lunga storia comune, sia madre della speranza di un futuro umano, non rinunci mai a investire nel dialogo come metodo per risolvere i conflitti, per non lasciare che prevalga la logica delle armi, per non consentire che prenda piede la narrazione dell’inevitabilità della guerra, per aiutare i cristiani e i non-cristiani a mantenere vivo il desiderio di una convivenza pacifica, per offrire spazi di dialogo nella verità e nella carità. Guardiamo con interesse lo sforzo del Governo italiano nel suo intento di connettere la crescita di responsabilità europea al dialogo intra-occidentale per la ricerca di una pace giusta e duratura e l’indispensabile visione multilaterale nella soluzione dei conflitti.
Nel grande confronto globale, solo un’Europa unita può preservare l’umanesimo europeo. Diversi sono i modi di intenderlo, ma è la ricchezza dell’Europa, con la centralità della persona. Questo è un nodo centrale, nonostante visioni relativistiche e individualistiche vorrebbero far perdere la memoria del Vecchio Continente. Lo ha ben spiegato Papa Francesco a Strasburgo durante la visita al Parlamento europeo, richiamando il magistero della Chiesa sul tema. «Promuovere la dignità della persona – ha ricordato – significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici» (Discorso, 25 novembre 2014). È l’umanesimo della dignità di ognuno nei suoi legami sociali e familiari. Non la persona isolata, come titolare di diritti che si espandono attorno all’io, in modo avulso dagli altri e dalla tradizione. Scriveva Mounier, un autore caro agli estensori del Codice di Camaldoli: «Il noi segue l’io poiché uno non si forma senza l’altro, il noi deriva dall’io». Persona e comunità si esprimono nella cura e nei legami: la vita nascente, i fragili, gli anziani tanto emarginati. La libertà della persona è anche servire gli altri. Non mi dilungo in questo sentire cristiano. Non me ne vergogno certo! Anzi, in questi momenti, abbiamo bisogno di pensieri forti e di credenti capaci di cultura e dialogo. Forte non vuol dire prepotente o intollerante. Ciò che soffriamo in Europa è la mancanza di pensiero a tanti livelli: si urla ma non si propone pensando.
Aveva ragione Paolo VI nella Populorum progressio: «Il mondo soffre per mancanza di pensiero» (n. 85). Invitava a pensare insieme il futuro: «Aprite le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale» (n. 85). È la linea di quelle “coalizioni” culturali, educative, filosofiche, religiose, che Papa Francesco propose nel 2016 ricevendo il Premio Carlo Magno: «Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro» (Discorso, 6 maggio 2016). È anche quell’«alleanza sociale per la speranza» (Spes non confundit, 9) che chiede alla comunità cristiana di non essere seconda a nessuno nel sostenerla. Sì, non dobbiamo temere il confronto. Abbiamo una ricchezza di visioni, maturata negli anni, che sono fonti di speranza. La via della pace è sempre quella del dialogo, che oggi assume anche i connotati del multilateralismo. L’indebolimento delle strutture internazionali diventerà presto per tutti causa di maggiore incertezza e non certo di maggiore sicurezza. Senza luoghi in cui dialogare in modo sincero e costruttivo, le singole posizioni si irrigidiscono e tendono ad imporsi con la violenza. Anche su questo la Chiesa può tornare ad essere maestra di umanità. Mi piacerebbe che le nostre Chiese dessero vita ad iniziative o esperienze concrete in questi ambiti, per mostrare a noi stessi e al mondo che il Vangelo è ancora vita, una vita bella per tutti.
Ci aiuta Papa Francesco: «Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza… Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto… Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano… di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande… Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia» (Discorso, 6 maggio 2016).

Carissimi Fratelli, vi ringrazio di avermi ascoltato e di quanto vorrete osservare e proporre. Affidiamo queste giornate di lavoro comune all’intercessione della Vergine Maria e di San Giuseppe, che celebreremo nei prossimi giorni.

10 Marzo 2025

Ti racconto una storia: la mia – Presentazione del libro

Mecoledì 19 marzo 2025 ore 10 - Salone degli Stemmi Melfi

DIOCESI DI MELFI -RAPOLLA-VENOSA

 

Comunicato

La diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa unitamente alla direzione della Casa Circondariale di Melfi, il prossimo 19 marzo, presso il Salone degli Stemmi del Palazzo Vescovile di Melfi, alle ore 10:00, presenta il risultato editoriale di una significativa attività laboratoriale realizzata nel carcere di Melfi: il libro “Ti racconto una storia, la mia”.

Il libro presenta, in una forma editoriale ben riuscita, il focus del laboratorio: il sostegno alla genitorialità.

I “narratori” di eccezione di questa opera sono gli stessi detenuti.

Il progetto che ha fatto da terreno fecondo per la realizzazione di questo libro, ha posto al centro il rapporto tra padre e figlio, partendo dall’angolo visuale del carcere.

Il libro si presenta come “libro di favole” dal titolo emblematico: “10 storie prima della buona notte”.

Il progetto è stato ideato e curato dalla dott.ssa Emilia D’Arace.

Partendo dalla sensibilità di ogni detenuto si è lavorato sulla condivisione di esperienze, desideri e prospettive future.

Il laboratorio ed il testo hanno mostrato che è possibile mantenere legami affettivi nonostante la condizione restrittiva, riscoprendo anche il significato che i figli attribuiscono all’assenza della figura paterna.

Alla realizzazione del progetto editoriale hanno dato un apporto fondamentale attraverso appropriate illustrazioni, gli alunni del Liceo Artistico M. Festa Campanile di Melfi. Le realizzazioni grafiche hanno fatto sì che i personaggi dei racconti riportati prendessero vita e forma.

L’iniziativa di alto valore culturale e sociale è segno e frutto della collaborazione di realtà diverse ma tutte protese ad intercettare bisogni affettivo-genitoriale della popolazione detenuta.

Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2025

Camminiamo insieme nella speranza

Cari fratelli e sorelle!

Con il segno penitenziale delle ceneri sul capo, iniziamo il pellegrinaggio annuale della santa Quaresima, nella fede e nella speranza. La Chiesa, madre e maestra, ci invita a preparare i nostri cuori e ad aprirci alla grazia di Dio per poter celebrare con grande gioia il trionfo pasquale di Cristo, il Signore, sul peccato e sulla morte, come esclamava San Paolo: «La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» ( 1Cor 15,54-55). Infatti Gesù Cristo, morto e risorto, è il centro della nostra fede ed è il garante della nostra speranza nella grande promessa del Padre, già realizzata in Lui, il suo Figlio amato: la vita eterna (cfr Gv 10,28; 17,3).

In questa Quaresima, arricchita dalla grazia dell’Anno Giubilare, desidero offrirvi alcune riflessioni su cosa significa camminare insieme nella speranza, e scoprire gli appelli alla conversione che la misericordia di Dio rivolge a tutti noi, come persone e come comunità.

Prima di tutto, camminare. Il motto del Giubileo “Pellegrini di speranza” fa pensare al lungo viaggio del popolo d’Israele verso la terra promessa, narrato nel libro dell’Esodo: il difficile cammino dalla schiavitù alla libertà, voluto e guidato dal Signore, che ama il suo popolo e sempre gli è fedele. E non possiamo ricordare l’esodo biblico senza pensare a tanti fratelli e sorelle che oggi fuggono da situazioni di miseria e di violenza e vanno in cerca di una vita migliore per sé e i propri cari. Qui sorge un primo richiamo alla conversione, perché siamo tutti pellegrini nella vita, ma ognuno può chiedersi: come mi lascio interpellare da questa condizione? Sono veramente in cammino o piuttosto paralizzato, statico, con la paura e la mancanza di speranza, oppure adagiato nella mia zona di comodità? Cerco percorsi di liberazione dalle situazioni di peccato e di mancanza di dignità? Sarebbe un buon esercizio quaresimale confrontarsi con la realtà concreta di qualche migrante o pellegrino e lasciare che ci coinvolga, in modo da scoprire che cosa Dio ci chiede per essere viaggiatori migliori verso la casa del Padre. Questo è un buon “esame” per il viandante.

In secondo luogo, facciamo questo viaggio insieme. Camminare insieme, essere sinodali, questa è la vocazione della Chiesa. I cristiani sono chiamati a fare strada insieme, mai come viaggiatori solitari. Lo Spirito Santo ci spinge ad uscire da noi stessi per andare verso Dio e verso i fratelli, e mai a chiuderci in noi stessi. Camminare insieme significa essere tessitori di unità, a partire dalla comune dignità di figli di Dio (cfr Gal 3,26-28); significa procedere fianco a fianco, senza calpestare o sopraffare l’altro, senza covare invidia o ipocrisia, senza lasciare che qualcuno rimanga indietro o si senta escluso. Andiamo nella stessa direzione, verso la stessa meta, ascoltandoci gli uni gli altri con amore e pazienza.

In questa Quaresima, Dio ci chiede di verificare se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi in cui lavoriamo, nelle comunità parrocchiali o religiose, siamo capaci di camminare con gli altri, di ascoltare, di vincere la tentazione di arroccarci nella nostra autoreferenzialità e di badare soltanto ai nostri bisogni. Chiediamoci davanti al Signore se siamo in grado di lavorare insieme come vescovi, presbiteri, consacrati e laici, al servizio del Regno di Dio; se abbiamo un atteggiamento di accoglienza, con gesti concreti, verso coloro che si avvicinano a noi e a quanti sono lontani; se facciamo sentire le persone parte della comunità o se le teniamo ai margini. Questo è un secondo appello: la conversione alla sinodalità.

In terzo luogo, compiamo questo cammino insieme nella speranza di una promessa. La speranza che non delude (cfr Rm 5,5), messaggio centrale del Giubileo, sia per noi l’orizzonte del cammino quaresimale verso la vittoria pasquale. Come ci ha insegnato nell’Enciclica Spe salvi il Papa Benedetto XVI, «l’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: “Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” ( Rm 8,38-39)». Gesù, nostro amore e nostra speranza, è risorto e vive e regna glorioso. La morte è stata trasformata in vittoria e qui sta la fede e la grande speranza dei cristiani: nella risurrezione di Cristo!

Ecco la terza chiamata alla conversione: quella della speranza, della fiducia in Dio e nella sua grande promessa, la vita eterna. Dobbiamo chiederci: ho in me la convinzione che Dio perdona i miei peccati? Oppure mi comporto come se potessi salvarmi da solo? Aspiro alla salvezza e invoco l’aiuto di Dio per accoglierla? Vivo concretamente la speranza che mi aiuta a leggere gli eventi della storia e mi spinge all’impegno per la giustizia, alla fraternità, alla cura della casa comune, facendo in modo che nessuno sia lasciato indietro?

Sorelle e fratelli, grazie all’amore di Dio in Gesù Cristo, siamo custoditi nella speranza che non delude (cfr Rm 5,5). La speranza è “l’ancora dell’anima”, sicura e salda. In essa la Chiesa prega affinché «tutti gli uomini siano salvati» ( 1Tm 2,4) e attende di essere nella gloria del cielo unita a Cristo, suo sposo. Così si esprimeva Santa Teresa di Gesù: «Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l’ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve» ( Esclamazioni dell’anima a Dio, 15, 3).

La Vergine Maria, Madre della Speranza, interceda per noi e ci accompagni nel cammino quaresimale.

Roma, San Giovanni in Laterano, 6 febbraio 2025, memoria dei Santi Paolo Miki e compagni, martiri.

PREGHIERA CORALE, AFFETTUOSA E GRATA PER PAPA FRANCESCO

CIRO FANELLI

VESCOVO DI MELFI – RAPOLLA – VENOSA

 

PREGHIERA CORALE, AFFETTUOSA E GRATA PER PAPA FRANCESCO

Carissimi,

ci sono momenti, come questi del ricovero in ospedale di Papa Francesco, in cui il nostro legame ecclesiale con il Santo Padre deve manifestarsi visibilmente anche nell’affettuosa unione di preghiera per la Sua persona.

La nostra Diocesi con tutte comunità parrocchiali, in questi giorni in cui il Santo Padre è ricoverato presso il Policlinico A. Gemelli in Roma, si stringe con affetto attorno a lui, pregando e facendo pregare per la Sua piena guarigione.

Anche la nostra Diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, unita a tutte le Chiese che sono in Italia, desidera far sentire a Papa Francesco il suo affetto attraverso una preghiera corale, intensa e perseverante.

La nostra Chiesa locale ama il Papa e prega per lui in questo momento di fragilità e di sofferenza!

Con fiducia eleviamo al Signore la nostra invocazione nelle Sante Messe e in ogni altra preghiera comunitaria.

Chiediamo al Signore che sostenga Papa Francesco e gli dia il dono della guarigione, affinché attraverso il Suo Magistero egli possa continuare a guidare il cammino della Chiesa sui sentieri della comunione e della missione.

Invito, dunque, tutti i presbiteri a celebrare la Santa Messa per il Papa, e chiedo ad ogni comunità parrocchiale, ad ogni casa religiosa, a ogni cuore illuminato dalla luce della Fede di unirsi in preghiera, affinché il Signore lo custodisca per aiutarci ad essere autentici pellegrini di speranza.

La Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli, interceda per il nostro amato Papa Francesco e faccia sentire al suo cuore l’affetto sincero di tutta la Chiesa e delle donne e degli uomini di buona volontà.

+ Ciro Fanelli
Vescovo

Preghiera e vicinanza al Papa

Preghiera e vicinanza al Papa

«Gli auguri per una pronta guarigione e la preghiera delle Chiese in Italia».

È quanto scrive la Cei nel suo sito www.chiesacattolica.it e sui suoi canali social riguardo a Papa Francesco che venerdì 14 febbraio, «al termine delle udienze, si ricovera al Policlinico Agostino Gemelli per alcuni accertamenti diagnostici e per proseguire in ambiente ospedaliero le cure per la bronchite in corso».

Fonte Cei

Guarda la registrazione del convegno – Oltre i confini: migrazioni e diritti umani

Oltre i confini: migrazioni e diritti umani

Sfide globali e risposte locali per le famiglie in una società più equa

Sabato 15 febbraio 2025 alle ore 17.00, presso il Salone degli Stemmi del Palazzo Vescovile di Melfi, si terrà un convegno su “Migrazioni e diritti umani”, organizzato dalla diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa. Il vescovo, mons. Ciro Fanelli, attraverso l’ambito della Pastorale Sociale e della Legalità della Curia diocesana, ha invitato all’evento non solo gli organismi ecclesiali, ma anche i diversi soggetti istituzionali e le parti sociali coinvolti nel delicato e complesso tema della migrazione oggi. Sono stati chiamati a guidare il convegno i professori delle Università Pontificie in Roma Aldo Skoda, docente presso la Pontificia Università Urbaniana, e Vincenzo Rosito, professore del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, che svilupperanno il tema “Oltre i confini: migrazioni e diritti umani. Sfide globali e risposte locali per le famiglie in una società più equa”.

“L’evento -ha affermato il vescovo Fanelli – si pone l’obiettivo di analizzare il fenomeno delle migrazioni contemporanee non solo come una questione globale, ma anche nelle sue ricadute locali, cercando di comprendere le opportunità e le criticità che ne derivano, analizzandone le implicazioni sociali, culturali ed economiche e ponendo particolare attenzione al ruolo delle famiglie nel contesto di una società più giusta ed inclusiva”.

Il tavolo di riflessione del convegno intende offrire strumenti di lettura e risposte concrete alle sfide poste dai fenomeni migratori, valorizzando il dialogo tra istituzioni, accademici e comunità, con un focus particolare sulla effettiva tutela nel territorio diocesano dei diritti umani e sull’integrazione delle famiglie migranti. Infatti, la diocesi desidera chiarificare il ruolo delle comunità ecclesiali e delle istituzioni presenti nel territorio per promuovere una società più equa e solidale.

Il vescovo, nella convocazione del convegno, richiamando il pensiero di Papa Francesco, ha ribadito che le migrazioni non sono soltanto un fenomeno emergenziale, ma rappresentano un’opportunità per arricchire il tessuto sociale, favorire l’incontro tra culture diverse e promuovere una società più giusta. Da ciò devono scaturire politiche di accoglienza e integrazione in grado di porre in atto iniziative concrete, sia a livello istituzionale che comunitario, al fine di  garantire una reale inclusione dei migranti e assicurare sempre il rispetto della dignità di ogni persona.

Nell’ invitare le istituzioni, le parti sociali e il mondo della politica, il vescovo Fanelli ha ricordato che è necessario e urgente adottare un approccio inclusivo e costruttivo sulle tematiche dell’accoglienza e dell’integrazione, nella consapevolezza che questa scelta porta numerosi benefici sociali, culturali ed economici. “Un approccio sapienziale e profetico al fenomeno delle migrazioni – ha ribadito il presule – favorisce la coesione sociale, riducendo il rischio di marginalizzazione ed esclusione e contribuisce alla crescita economica, attraverso la valorizzazione delle competenze dei migranti. Inoltre, permette di costruire comunità più resilienti, fondate sul dialogo interculturale e sulla collaborazione tra diverse realtà. L’inclusione promuove il rispetto reciproco e rafforza il senso di appartenenza, elementi essenziali per una società equa e pacifica”.

L’incontro si inserisce in un percorso più ampio promosso dalla diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, volto a sensibilizzare l’opinione pubblica e a favorire un approccio accogliente e costruttivo alle tematiche dell’integrazione e pacifica convivenza tra esseri umani.

L’appuntamento, oltre ad essere rivolto al mondo ecclesiale e alle istituzioni, è aperto a tutti coloro che desiderano approfondire queste tematiche e contribuire alla costruzione di una società più giusta e rispettosa della dignità di ogni individuo.

XXXIII GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

11 FEBBRAIO 2025 ore: 11.00 - Auditorium IRCCS CROB Rionero

L’Ufficio Diocesano per la Pastorale della Salute, in collaborazione con l’Ufficio Diocesano per la Pastorale Sociale e l’IRCCS CROB di Rionero in Vulture,l’11 febbraio 2025, in occasione della XXXIII Giornata Mondiale del Malato, presso l’Auditorium dell’IRCCS CROB, ha organizzato il seguente programma:
– ore 11.00 Santa Messa Presieduta da S.E. REV. MONS. CIRO FANELLI;
– ore 12.00 Incontro Biblico “Io ti conoscevo per sentito dire ma ora i miei occhi ti vedono” a cura di Padre Tony Leva.

Giubileo diocesano dei Fidanzati

2 febbraio 2025 ore 16.00 - Chiesa di San Rocco Venosa

Carissimi,
il nostro Vescovo Mons. Ciro Fanelli desidera vivere l’Anno Giubilare anche con i fidanzati che si preparano al sacramento del matrimonio. Come Ufficio Diocesano per la Pastorale familiare vi invitiamo a farvi promotori del Giubileo dei Fidanzati che si terrà domenica 2 febbraio a Venosa a partire dalle ore 16.00 con raduno presso la Chiesa di San Rocco. I nubendi avranno la possibilità di attraversare la Porta Santa del Santuario Giubilare della SS. Trinità e, successivamente, di dialogare con il nostro Vescovo.
Vi chiediamo, come già anticipatovi nel nostro messaggio dello scorso novembre, di comunicare questo particolare appuntamento alle coppie di nubendi dei percorsi prematrimoniali che si svolgono in parrocchia e di incoraggiare la loro partecipazione accompagnandole anche come sacerdoti e coppie guida. Vi aspettiamo, sperando in una nutrita partecipazione vista l’importanza che il Vescovo dà a questo incontro.
Saluti
Matilde Calandrelli e Raffaele Tummolo
Direttori Ufficio Famiglia Diocesano